**Lunga chiacchierata di Federico Dimarco sul podcast "BSMT" su YouTube:**
Federico Dimarco, difensore dell'Inter, ripercorre la sua carriera, iniziata non a caso sui campi sportivi del settore giovanile nerazzurro fino al campionato vinto. Dimash è nato con il sangue nerazzurro addosso e, tra vicissitudini, prestiti, lacrime di dolore e di gioia, è arrivato a cucire la seconda stella sul suo petto. Ecco il completo resoconto della già leggenda del Biscione.
È proprio iniziando dal soprannome di cui sopra, Dimash, che il trentaduenne di Inzaghi comincia a raccontarsi: "È nato quando sono tornato all'Inter dopo Verona. Chi mi ha chiamato così per la prima volta? Il mister, Inzaghi. Gli è venuto in mente così, dal nulla, e da lì in poi tutti mi hanno chiamato Dimash. Il cappellino l'abbiamo fatto quando abbiamo vinto il campionato e lo abbiamo continuato a indossare".
Hai altri soprannomi? Avevo letto "Whisky"...
"No, ormai quello fa parte del passato".
Com'è andata la pausa per le Nazionali?
"Indossare la maglia azzurra è sempre bello, è ovvio che ci sono tante partite, tra Inter e Nazionale, e devi saperle gestire. Il campionato puoi gestirlo meglio rispetto alla Nazionale, dove hai quasi sempre partite secche e devi mantenere in alto il nome dell'Italia".
Questa volta è andata bene.
"Assolutamente, abbiamo ripartito bene dopo il brutto Europeo disputato. C'era bisogno di questa nuova freschezza per ripartire".
Com'è indossare la maglia della Nazionale?
"È un bell'effetto. Non sono arrivato prestissimo in Nazionale, ho cominciato a giocarci con continuità due anni fa con Mancini. Da lì è iniziato un percorso...".
Il tuo non è stato un percorso da predestinato...
"Io forse sono l'ultimo dei predestinati. Io quando scendo in campo con la maglia dell'Inter cerco di essere me stesso, quando scendo in campo sono come lo sono fuori: un competitivo, cerco di dare una mano ai compagni, o cerco di dare uno stimolo in più. Perché giocando con l'Inter ci sono partite che hanno un'importanza diversa, sono tutte importanti ma alcune di più. E io cerco di dare sempre il mio contributo anche dicendo una parola in più. Questo lo devo al percorso fatto nel settore giovanile, quello che ho vissuto e che mi hanno insegnato tutte le persone avute cerco di portarmelo dietro in campo e fuori".
Come reagisci ai commenti social su di te?
"È sempre bello leggere i complimenti. A me non piace paragonarmi a nessun calciatore perché ognuno ha una storia a sé. Poi certo, certi paragoni con i grandi del calcio fanno piacere, ma non mi piace l'idea del paragone. Nel calcio si vive di momenti, io nell'Inter ho vissuto sia momenti belli che brutti. Quando perdiamo una partita, o come è successo con la finale di Champions o col campionato 2022, io vado veramente in down totale. Però poi quando analizzo le cose cerco di ripartire e quando riparto mi fisso qualcosa a cui pensare. Così è successo dopo la finale di Champions, una volta tornato mi sono detto che il prossimo anno avrei voluto vincere il campionato".
E così è stato.
"E così fortunatamente è stato. Ed è stata una bella rivincita. Poi va beh, la seconda stella... È stato davvero bello".
Non succede a tutti di realizzare certi sogni con la squadra che tifi.
"Quello sicuramente è una cosa che fa tantissimo piacere".
Sei un giocatore che vive troppo le partite?
"Da quando sono ritornato all'Inter, pian piano giocando anche partite di un certo livello, ho imparato a gestire le emozioni e diciamo che anche da quel punto di vista lì sono sono cresciuto molto. Prima ovviamente giocare con il Barcellona o con il Real Madrid, che non era una cosa da tutti i giorni, era incredibile. Poi diventa un'abitudine ed è quasi brutto da dire ma diventa la normalità. Giocare quelle partite lì è anche un po' la cosa bella di diventare professionista".
Una partita per la quale hai avuto un brividino?
"L'ultimo derby è stato bello emozionante, anche perché era una partita che poteva darci tantissimo o poteva toglierci qualcosa. Poi sappiamo quello che è successo dopo quindi... Però è stata una delle più emozionanti".
L'esordio in Champions?
"L'esordio i Champions è stato un po' amaro perché ho giocato con il Real e abbiamo perso 1-0, quindi non è stato tra i migliori".
E prima del risultato? Quando hai sentito l'inno?
"L'inno della Champions è unico, ti dà vibrazioni detto che non si possono paragonare a nulla, a parte qualcuna con la Nazionale. È stato molto emozionante, però poi dopo la partita l'emozione viene quasi cancellata".
Quanto ci metti a recuperare mentalmente dopo una sconfitta?
"Quando la distanza tra una partita e l'altra è di una settimana ci metto un paio di giorni... E non sono in down, sono proprio incazzato. I miei amici mi guardano in faccia e sanno già come sto. Quando invece giochiamo dopo qualche giorno devi azzerare subito tutto. Fortunatamente l'anno scorso ne abbiamo perse davvero poche ed è stato facile".
I tifosi sanno che ci tieni, si riconoscono in te.
"È anche difficile guardarla da fuori perché io vado in campo cercando di essere me stesso, siamo professionisti, ovviamente per me l'Inter è una cosa bellissima e cerco di dare il massimo per la maglia che indosso. Per me la maglia dell'Inter va trattata coi guanti, l'ho detto e lo penso veramente".
Il tuo percorso è una storia forte. A che età hai iniziato a giocare?
"Sono andato all'Inter a otto anni, poi da lì ho fatto tutta la trafila fino all'esordio in prima squadra. Alla fine il lavoro paga, ho sempre cercato di stare zitto, lavorare e alla fine sono arrivato dove sono arrivato".
Come è arrivata la chiamata in prima squadra?
"Ho cominciato ad andare in prima squadra che c'era Mazzarri, c'era ancora qualcuno del Triplete, era l'ultimo anno di Zanetti. Quando sei così giovane hai gli occhi a cuori per tutto, soprattutto vedere Milito dopo quella doppietta in finale di Champions è stato davvero emozionante. Com'erano loro nei miei confronti? Io andavo lì ad allenarmi e basta, sono stato convocato per la prima volta con Mancini. Poi ho fatto l'esordio in Europa League e a fine campionato ho esordito in campionato contro l'Empoli. Ho esordito prima in Europa che in Italia, ma per me era indifferente. L'importante era esordire con la maglia dell'Inter".
Com'è stato l'esordio?
"Era, se non mi sbaglio, l'ultima partita del girone ed eravamo già passati se non sbaglio. C'erano tanti ragazzi della Primavera convocati però all'epoca c'erano ancora i tre cambi e dovevi comunque sperare. Alla fine sono stato fortunato, ho esordito ed è stato bellissimo. Emozioni così si provano una volta sola. Cosa ricordo? Le quattro ore di viaggio di ritorno".
Poi l'anno successivo ho fatto sei mesi in prima squadra senza giocare praticamente mai, prima di andare all'Ascoli a gennaio. È stata una situazione difficile, ma esperienza bellissima e stimolante, perché era la prima volta che andavo fuori di casa ed ero da solo. Salvarsi all'ultima giornata è stato bello. Dopo Ascoli sono andato ad Empoli, dove ho fatto tredici-quattordici partite senza giocare tantissimo. L'anno scorso avevo squadre che mi volevano ma per fare il giovane dietro al giocatore esperto e io non ero d'accordo, così ho provato a cambiare andando in Svizzera. Lì sono partito benissimo, mi sono spaccato il metatarso e sono stato quattro mesi fermo. Avevo 19 anni. Sono rientrato dopo quattro mesi, era cambiato l'allenatore e la cosa che fa ridere, e alla quale non crede nessuno, è che eravamo ultimi o penultimi e il presidente ebbe la bella idea di mandarci una settimana a fare il militare con le forze speciali francesi per punizione. Stavamo nei campi col sacco a pelo. Robe mai viste, addestramenti incredibili. Ci facevano anche sparare, non con armi vere ma... In Svizzera c'è la pausa lunga a gennaio, perché c'è molto freddo, io non volevo andare ma se non andavamo non ci pagava. Siamo tornati motivati, ma quando siamo tornati io ho discusso con l'allenatore e non ho più giocato fino a fine anno. Finisce col Sion e l'Inter mi riporta a Milano. Sono tornato in Italia ma non mi voleva nessuno, forse neanche in Serie B. Alla fine è arrivato il Parma, e anche lì ho fatto tre-quattro partite risicate, ho fatto gol, e poi basta. Distacco del tendine dell'adduttore del retto addominale e altri quattro mesi e mezzo fermo. Anche lì ho giocato poco, tredici-quattord